CIMITERO MONUMENTALE DI STAGLIENO, GENOVA


Quando, con l’Editto di Saint-Cloud (1804), il governo francese obbligò i cittadini della Repubblica Ligure a costruire luoghi per i sepolcri lontano dai centri abitati, trovò varie resistenze. Le sepolture avvenivano soprattutto negli edifici sacri, con tombe più o meno importanti per gli alti prelati, per i nobili o per i borghesi più ricchi mentre la gente comune, anonima nella morte come nella vita, poteva fruire delle fosse comuni poste solitamente sotto i pavimenti delle chiese: varie monete per un uomo, qualcuna in meno per una donna, poche per i bambini, erano il prezzo del rito. I personaggi importanti, o coloro che possedevano una cappella come tomba di famiglia, cercarono e ottennero, per un lungo periodo, deroghe al decreto.


Tomba Luigi Burlando - Piero da Verona, 1920
Nel frattempo, anche Genova era cambiata. La sua struttura, con le antiche caratteristiche, era stata trasformata in chiave neoclassica. Il popolo borghese prendeva coscienza del suo valore e del suo peso nel governo e nel mantenimento della città. Si diffondeva il desiderio di lasciare qualcosa oltre la morte, qualcosa di duraturo e di tangibile. Il monumento funebre era stata, per i ceti più abbienti, una sorta di dimostrazione di “status” e, nonostante la stampa satirica non risparmiasse ironia al riguardo, nel “Giorno dei defunti” divenne un rito obbligato recarsi in visita al camposanto, ovviamente con abiti rigorosamente alla moda. Alla moda, doveva essere anche il monumento celebrativo, affidato agli artisti più in voga, per la maggior parte formatisi alla scuola di Santo Varni e dei suoi contemporanei, all’epoca docenti dell’Accademia ligustica di belle arti di Genova. Varni, ad esempio, aveva frequentato anche la scuola del Bartolini, a Firenze: era inevitabile che trasmettesse ai suoi discepoli quel gusto raffinato per il neoclassicismo che egli stesso aveva ereditato dal suo maestro toscano.


Tomba Giuseppe Paradis Di Pietro - Santo Varni, 1865
La scultura si evolveva assieme ai concetti sociali, allo sviluppo delle nuove idee che cercheranno nella pittura una nuova forma espressiva. Dopo le idee illuministiche, dopo il Romanticismo in tutte le sue sfaccettature e correnti, l’idea di scultura si evolve e muta, lasciando spazio ai nuovi temi. Il gusto del dettaglio raffinato, che trasformava il marmo in un velluto, la lacrima scolpita su una guancia, gli occhi e le posture che esprimono un dolore intenso ma composto, volto alla devozione ed alla preghiera, le famiglie raccolte attorno al letto di chi muore, lasciano spazio ad una forma nuova.


Tomba Appiani - Demetrio Paernio, 1910
Il trasformare un monumento funerario in una sorta di scena teatrale era stato un’idea innovativa. Drappeggi, cuscini, fiori, simboli del lavoro quotidiano e della consuetudine della vita avevano una notevole importanza per ricordare in cosa si era distinta la persona sepolta. Numerosi i richiami, attraverso dolenti in preghiera o in atto di devota gratitudine, per i benefattori dei ceti più deboli, degli orfani, dei derelitti in genere. Varie, le simbologie tratte dalla cultura religiosa che però trovano, nell’espressione artistica, un superamento dell’immagine legata al culto, per divenire linguaggio di pura realtà.



Dramma Eterno, Tomba Celle - Giulio Monteverde, 1893
Superata la fase neoclassica e realista, si incontra, nel Liberty, una forma quasi ossessiva e sconvolgente dell’interpretazione della morte. Il dolore non è più chiuso e contenuto nel conformismo, ma è gridato e denudato in tutta la sua vertigine. Non più abiti composti a nascondere le forme, ma corpi ben torniti e spesso sensuali, in atteggiamenti tesi ed esasperati nella sofferenza, assorti e pervasi di languore, sottolineati ed esaltati dai sottili veli e dalle volute dei lunghi capelli femminili, dai fiori recisi, dalle profonde ombre che segnano la scultura.



Angelo del Giudizio, Tomba Oneto - Giulio Monteverde, 1882


Si può dire che la storia di Staglieno inizi nel 1835, a seguito del dibattito circa la necessità di costruire a Genova una necropoli in cui le sepolture avessero carattere pubblico e democratico e in cui venissero osservate precise norme igienico-sanitare, viene affidato a Carlo Barabino l'incarico di progettare un cimitero che rispondesse, oltre che alle esigenze funzionali, ai caratteri di centralità e monumentalità. Carlo Barabino (Genova 1768 - 1835), architetto civico, a lui si deve gran parte della fisionomia neoclassica della città: i suoi interventi riguardarono sia la struttura urbanistica del nuovo centro che la realizzazione di edifici pubblici rappresentativi, come il Teatro Carlo Felice e il Palazzo dell'Accademia.

Nel 1835, Barabino non poté portare a termine l'incarico perché mori in quello stesso anno nell'epidemia di colera che investì la città. La realizzazione fu affidata a Giovanni Battista Resasco, continuatore dell’opera del maestro. Alla struttura quadrangolare del nucleo originario si è aggiunta nel corso degli anni l’espansione verso i declivi collinari, e l’intenso sviluppo della vegetazione ha conferito all’insieme un aspetto fortemente suggestivo di fusione tra architettura e natura circostante. Il Pantheon infatti, contornato dai porticati superiori, collegati attraverso la monumentale scalinata a quelli inferiori si adagia sulla verde collina retrostante che, popolata da una sempre più fitta vegetazione ospita cappelle e monumenti disseminati e seminascosti nel verde.

A Staglieno si sono succeduti gli stili artistici di oltre un secolo, dal Neoclassicismo al Realismo, fino al Simbolismo, al Liberty e all’Art Déco, dando vita ad una scuola di scultori le cui opere si sono diffuse oltre i confini nazionali. Il cimitero, nato a metà del secolo XIX e sviluppatosi con grande intensità rappresentativa fino a dopo la prima guerra mondiale, segue con perfetto parallelismo storico e culturale vicende, ideali, l’idea stessa della vita di una classe in ascesa, la borghesia: dai momenti della massima crescita fino alle crisi di identità che segnano la sua storia negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Innumerevoli sono le testimonianze di personaggi storici, letterati e artisti che, pur con giudizi diversi, ricordano la grande impressione e il fascino di questo luogo di memorie pubbliche e private, in cui la volontà monumentale si unisce, inscindibilmente, alla suggestione ‘romantica’ del paesaggio, in un intreccio strettissimo fra monumento, architetture, memorie storiche e natura.